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La sindrome del Long Covid

Dolore toracico e muscolare, respirazione problematica e affaticamento tra i sintomi più comuni del post guarigione: è la sindrome del Long-Covid. Come intervenire?

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La sindrome del Long Covid

Dolore toracico e muscolare, respirazione problematica e affaticamento tra i sintomi più comuni del post guarigione: è la sindrome del Long-Covid. Come intervenire? I rilevanti benefici degli approcci integrati, dalla Vitamina D al trattamento chiropratico.

A distanza di ormai molti mesi dall’inizio della pandemia i ricercatori hanno segnalato una sindrome post-virale che si manifestava nei soggetti guariti da COVID-19. Queste osservazioni hanno indotto alcuni studiosi a confrontare la sintomatologia riscontrata da molti individui in fase post-COVID con quella rilevata in soggetti dopo altre infezioni virali, come quelle influenzali. Ne è emerso che le probabilità di presentare i sintomi da COVID-19, mesi dopo la fase acuta della malattia, erano più del doppio rispetto all’influenza. Un team dell’università di Oxford ha inoltre scoperto che i soggetti, che avevano una malattia COVID-19 più grave, avevano maggiori probabilità di contrarre la sindrome indicata come long-COVID. Parallelamente, un rischio elevato per i sintomi a lungo termine è stato riscontrato in particolare in individui di sesso femminile e nei giovani adulti. I sintomi di COVID-19 persistono o si ripresentano mesi dopo la diagnosi in più di un terzo di tutte le persone che contraggono la malattia.

Sindrome del Long-Covid: lo studio dell’Università di Oxford

Nello studio pubblicato sulla rivista PLOS Medicine, i ricercatori hanno scoperto che circa il 36% dei soggetti osservati riportava ancora sintomi simili a COVID tre e sei mesi dopo la diagnosi. La maggior parte degli studi precedenti ha stimato che i sintomi post-COVID persistono nel 10%-30% dei pazienti. Sebbene la sindrome long-COVID non sia stata del tutto definita, i ricercatori hanno esaminato sintomi come dolore toracico/alla gola, respirazione irregolare, sintomi addominali, affaticamento, depressione, mal di testa, disfunzione cognitiva, dolore muscolare. I sintomi hanno mostrato un andamento temporale variabile, definito come la probabilità di sperimentare ciascun sintomo in ogni momento, dato che il recupero non era ancora avvenuto. La maggior parte dei sintomi ha avuto una probabilità di insorgenza prolungata durante il periodo di sette mesi. I sintomi sono stati raggruppati in tre gruppi, in base al loro andamento temporale.

Sindrome Long covid chiropratica
Kurhan – Fotolia

Il cluster 1 è costituito dai sintomi che hanno maggiori probabilità di manifestarsi all’inizio della malattia, raggiungendo un punto più alto nelle prime due o tre settimane, per poi diminuire di probabilità nel tempo. Il cluster 2 è costituito da sintomi con una probabilità relativamente stabile nel tempo. Il cluster 3 è costituito dai sintomi che più probabilmente aumentano improvvisamente nei primi due mesi. Si è evidenziato come la probabilità dei sintomi può: stabilizzarsi (come la stitichezza), diminuire leggermente (come il malessere e l’affaticamento post-sforzo) o aumentare leggermente nei mesi successivi (come il tinnito, la perdita dell’udito, gli spasmi muscolari e i tremori). Tutti i cluster comprendevano sintomi di più apparati e nel cluster 3 sono stati considerati sintomi di tutti i sistemi eccetto uno (sintomi polmonari/respiratori).

  • Cluster 1: febbre, tosse secca, mal di gola, vomito, diarrea, inappetenza, rinorrea.
  • Cluster 2: affaticamento, brividi/vampate, difficoltà respiratoria (O2 normale), dispnea, vertigini/problemi di equilibrio, mal di testa, insonnia, apnea notturna, confusione mentale, cambiamento del senso dell’olfatto, dolori addominali, nausea, tachicardia, dolore al petto, svenimento.
  • Cluster 3: palpitazioni, bradicardia, petecchie, dermatiti, reflusso gastrico, costipazione, perdita dell’udito, tinnito, dolori articolari, spasmi muscolari, “nebbia cerebrale”, problemi di memoria, tremori, nevralgie, problemi mestruali, malessere post sforzo. Disturbi cognitivi e di memoria, sperimentati da oltre l’88% dei pazienti, sono stati i sintomi neurologici più profondi e persistenti, ugualmente comuni a tutte le età e con un impatto sostanziale su lavoro, routine quotidiana e qualità della vita.

Si ipotizza che probabilmente in alcuni soggetti il virus si possa ancora annidare in qualche parte del corpo, danneggiando direttamente nervi o altre strutture.

Queste disfunzioni, insieme ad altri sintomi neuropsichiatrici comunemente riportati, possono indicare problemi neurologici più ampi che coinvolgono il sistema nervoso sia centrale sia periferico. Finora ci sono più teorie che risposte chiare su quanto si sta verificando e ci sono buone ragioni per pensare che la variegata costellazione di sintomi potrebbe avere cause diverse nei diversi soggetti. Si ipotizza che probabilmente in alcuni soggetti il virus si possa ancora annidare in qualche parte del corpo, danneggiando direttamente nervi o altre strutture. Si ipotizza anche che la presenza cronica del virus o dei suoi resti possa mantenere il sistema immunitario in uno stato di “cottura a fuoco lento”, determinando così i sintomi. Si ipotizza infine che il virus una volta scomparso lasci comunque fuori controllo il sistema immunitario che, quindi, continui ad attaccare il corpo.

LONG-COVID: necessità di un approccio integrato

Sistema Endocannabinoide, sistema immunitario e terapie manipolative: correlazione interagente.

Il sistema endocannabinoide è ampiamente espresso nel corpo umano e, insieme ai recettori cannabinoidi e agli endocannabinoidi (i più noti sono l’anandamide e il 2-arachidonoilglicerolo), svolge un ruolo nella funzione fisiologica sia del sistema nervoso centrale sia di quello sistema immunitario, tanto innato quanto adattivo. I recettori endocannabinoidi hanno infatti dimostrato di influenzare profondamente le funzioni immunitarie, regolando così l’infiammazione, l’autoimmunità, le reazioni antitumorali e le risposte immunitarie antipatogeni.

Joseph Cannillo DC

La disregolazione del sistema endocannabinoide svolge allora un ruolo chiave nelle malattie autoimmuni, oltre che in numerose malattie croniche. I risultati di alcuni studi di ricerca clinica avvalorano il ruolo degli endocannabinoidi e di come essi siano coinvolti nell’analgesia della terapia manipolativa a breve termine. Nei soggetti in seguito a manipolazione spinale i livelli sierici di endocannabinoidi sono più che raddoppiati e l’aumento dei livelli di endocannabinoidi, attivatori di specifici recettori, ha ridotto infiammazione e dolore. In uno studio controllato randomizzato in doppio cieco su partecipanti asintomatici di sesso maschile e femminile, i livelli sierici di endocannabinoidi sono aumentati del 168% rispetto al basale in 20 minuti dopo il trattamento manipolativo spinale e solo del 17% dopo il trattamento di terapia manipolativa simulata. I cannabinoidi endogeni attivano anche i recettori dei cannabinoidi nel cervello e provocano effetti sull’umore. Effetti paralleli, come ansiolisi, analgesia, sedazione, possono essere quindi determinati dall’aggiustamento chiropratico.

Long-Covid e corretti apporti nutrizionali

Nutrienti comuni, tra cui la Vitamina D, gli omega-3 e i probiotici, sono ormai ampiamente riconosciuti come essenziali per la protezione da molte malattie di natura infiammatoria. I componenti della dieta sono molto importanti nell’omeostasi delle cellule T regolatorie, elemento centrale del sistema immunitario per prevenire l’infiammazione cronica dei tessuti. Di conseguenza, evidenti sono le prove sull’impatto dei nutrienti sulle malattie dove le cellule T svolgono un ruolo influente, come nelle condizioni autoimmuni tessuto-specifiche e infiammatorie croniche, tra cui la malattia infiammatoria intestinale, il diabete mellito di tipo 1, la sclerosi multipla, l’artrite reumatoide, le allergie e, appunto, il long-COVID; ne consegue che i fattori dietetici potrebbero avere un’influenza diretta attraverso la modulazione dell’omeostasi e delle funzioni delle cellule T sulle malattie croniche in particolare di natura infiammatoria.

La vitamina D

Come noto, la vitamina D è un fattore sostanziale affinché il nostro sistema immunitario operi in equilibrio, in particolare in presenza di COVID, così come in caso di altri disturbi, dal comune raffreddore all’influenza stagionale. Il ruolo che la vitamina D svolge nel mantenere sano ed efficiente il sistema immunitario è molto complesso perché il sistema immunitario deve essere perfettamente bilanciato. Se c’è troppa stimolazione, possono insorgere malattie autoimmuni. Se non c’è abbastanza attività del sistema immunitario, possono verificarsi infezioni frequenti. Bassi livelli di vitamina D sono stati collegati a entrambi gli estremi e associati al peggioramento delle malattie autoimmuni. Se bassi livelli di vitamina D non sono la causa alla base della malattia autoimmune, tuttavia possono peggiorarne lo stato. Bassi livelli di vitamina D sono stati inoltre associati a un maggior rischio di contrarre infezioni.

Vitamina D Long Covid Sindrome
Aleksandra Gigowska – stock.adobe.com

Nel 2017, un’ampia analisi di studi clinici prospettici ha evidenziato come l’assunzione di vitamina D riduce le probabilità di sviluppare un’infezione respiratoria di circa il 42% nelle persone con bassi livelli basali di 25-idrossivitamina D, inferiore a 25 ng/ml. La ricerca suggerisce che l’assunzione di vitamina D giornaliera o settimanale è più efficace rispetto a dosi maggiori assunte in boli singoli o mensili. La dose giornaliera più comune utilizzata è risultata vitamina D3 300-4.000 UI. La ricerca ha dimostrato anche che la vitamina D potrebbe svolgere un ruolo importante nella regolazione dell’umore e, pertanto, nella gestione della depressione. Alcuni ricercatori hanno riscontrato che nei soggetti depressi un’adeguata integrazione di vitamina D determina un miglioramento dei loro sintomi. Da altre indagini su individui con fibromialgia, sindrome comune associata a long-COVID, è emerso che la carenza di vitamina D era più diffusa in coloro che soffrivano anche di ansia e depressione.

Gli Omega-3

Tra i vari nutrienti, si è riscontrato altresì che i livelli ematici di Omega-3 e di fosfolipidi, elementi importanti anche nella produzione e nel mantenimento dei normali livelli di endocannabinoidi, sono essenziali per mantenere un sistema endocannabinoide funzionale che, come detto, influenza anche l’efficienza del sistema immunitario. Ne consegue che la nostra alimentazione dovrebbe essere ricca di pesce, alghe e includere anche prodotti a base di soia.

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Liddy Hansdottir – stock.adobe.com

Gli Omega-3 possono inoltre essere introdotti come integratore alimentare: 1.000 mg rappresentano il fabbisogno giornaliero per aiutare a ridurre l’infiammazione e mantenere un sistema endocannabinoide sano e funzionante. Appare evidente che l’intervento dietetico può essere decisivo in generale per il mantenimento di un buono stato di salute e in particolare nei pazienti che soffrono di long-COVID. Soprattutto in queste persone, interventi chiropratici, corretta nutrizione e adeguato apporto di integratori alimentari possono aiutare a ristabilirsi da long-COVID.

Joseph Cannillo DC

Joseph Cannillo
Joseph Cannillo DC

Joseph Cannillo è Dottore Chiropratico, membro dell’Associazione Italiana Chiropratici, all’interno della quale riveste il ruolo di Presidente della Commissione Scientifica. È docente e ricercatore di Fitoterapia e Nutrigenomica.

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